Il disciplinare di produzione dello Champagne precisa le distanze che le viti devono avere l’una dall’altra, con una densità per ettaro di 8.000 ceppi; questo assicura frutti che esprimano al meglio le loro potenzialità, donando al vino tutto il loro sapore. Per legge, inoltre, i vini prodotti da viti più giovani di due anni non possono fregiarsi del nome di Champagne.
Lavorazione e caratteristiche dello Champagne
Circa la metà del volume di produzione degli Champagne è certificato come biologico: l’utilizzo di farmaci fitosanitari è ridotto al minimo, la gestione delle risorse idriche è ottimizzata per evitare gli sprechi, i sottoprodotti e gli scarti della produzione vengono riciclati con sempre maggiore efficienza, andando ad alimentare industrie secondarie (produzione di etanolo dalle vinacce, di coloranti naturali, antiossidanti, acido tartarico e molto altro). Sempre per quanto riguarda la tutela dell’ambiente e del clima, l’intera filiera di produzione sorveglia la propria carbon footprint, cercando di contenerla nel rispetto dell’intergenerazionalità delle risorse.
La data d’inizio della vendemmia viene selezionata dal CIVC (Comitato Interprofessionale dei Vini Champagne) sulla base di una capillare raccolta dati sul grado di maturazione delle uve campione; l’operazione di raccolta viene effettuata esclusivamente a mano. Le uve vengono stoccate in ceste dal peso massimo di 50kg e subito portate al più vicino centro di pressatura, lungo tragitti studiati per essere brevi e dunque relativamente poco stressanti per i frutti. Tali centri sono soggetti a rigide normative sin dal 1987: ogni 4.000kg d’uva pressata si ottengono 25,50 ettolitri di mosto, dei quali viene controllata la gradazione alcolica di partenza.
Seguono i processi di solfitazione, sfecciatura e fermentazione alcolica, quest’ultima seguita in alcuni casi da un ulteriore processo di fermentazione, detto “malolattico”. Quest’ultimo dura dalle quattro alle sei settimane ed abbassa l’acidità del vino, modificandone le proprietà organolettiche.
Il ruolo dello chef de cave
Produrre Champagne è un’arte di cui sono cultori i cosiddetti “maestri di cantina”, figure professionali intermedie tra enologi e cantinieri, ancora non troppo diffuse in Italia ma già canoniche in Francia. Essi si occupano ad esempio dell’assemblage, procedura che consiste nel mescere vini di diverse cru, millesimati o meno, combinandoli tra annate o tra aree di provenienza per esaltarne le caratteristiche.
L’imbottigliamento si conclude aggiungendo al vino una miscela zuccherina costituita anche da lieviti e da un adiuvante della fermentazione: il vino viene in seguito commercializzato nella medesima bottiglia in cui è avvenuto il tirage. L’affinamento sui lieviti avviene in cantina, ad una temperatura costante che si aggira intorno ai 12°C; seguiranno le fasi di remuage (raccolta dei sedimenti nel collo della bottiglia) e dégorgement (sboccatura, rimozione dei sedimenti per ottenere nuovamente un vino limpido).
Infine, lo chef de cave sceglie anche la quantità di liqueur de dosage da aggiungere al vino dopo la sboccatura, procedendo solo in seguito alla tappatura definitiva. Da ultimo, si “abbiglia” la bottiglia e la si presenta al consumatore, con un’etichetta che riporti in sintesi tutti i dati salienti sul vino in essa contenuto: a quel punto, manca soltanto un passo per il brindisi.
Se vuoi scoprire altre curiosità su uno degli Champagne più in voga del momento, leggi nel nostro blog l'approfondimento sul Dom Perignon. Sante!